MAI PIU’ AMORE PER SEMPRE (1995)

ASSOCIAZIONE CULTURALE TEATRO SEGRETO
Direzione Artistica RUGGERO CAPPUCCIO

presenta

MAI PIU’AMORE PER SEMPRE
Scritto e diretto da
Ruggero Cappuccio
Con
Ciro Damiano – Frate Lorenzo Filomarino
Claudio Di Palma – Ferrante D’Avalos
Gea Martire – Donna Clemenzia
Imma Marolda – Malizia Villamarina
Paola Greco – Giulia Carafa
Nadia Baldi – Sibilla De Sangro
Gina Ferri – Tirinella
Annamaria – Senatore Ricciarella
Sabrina Ferri – Bianchina
Anna Contieri – Coroncina

Scene e costumi: Carlo Poggioli
Progetto luci: Stefano Martino
Musiche originali: Paolo Vivaldi, Viola da gamba Andrea De Carlo, Roberto Caravella Viola da gamba e liuto Umberto Orellana,Voce Rosanna Rossoni
Consulente: Isabella Amelio

 

Festival BeneventoCittàSpettacolo diretto da Maurizio Costanzo Festival di Polverigi 1996
“Mai Più Amore per Sempre”, di Ruggero Cappuccio è una libera rievocazione di “Giulietta e Romeo” di Shakespeare.

Rievocazione della grande musicalità della lingua del grande drammaturgo inglese, attraverso l’inesausta vocazione lirica della cultura letteraria partenopea del Seicento. La tessitura linguistica dell’inglese elisabettiano ritrova i suoi ritmi negli endecasillabi e nei settenari del barocco napoletano, mentre la visionarietà, la rarefazione, insieme con l’immarcescibile radice teatrale del basso materiale e corporeo di Shakespeare, tornano a ricrearsi i una lingua di scena che privilegia il senso del suono come viatico per concretizzare una comunicazione di natura emozionale oltre che cerebrale. Un senso del suono capace di un’esaltazione parossista che lo porta a divenire suono dei sensi nel vortice di un’antica storia d’amore infiammata di passioni incandescenti, silenzi agonizzanti, imprevedibili e surreali leggerezze, violente rinascite dell’istinto teatrale a ritrovare e desiderare la parola come musica ferita e rigenerata nella sfida tra la bellezza e la morte.

Così, quasi come fosse una partitura musicale intrecciata delle note calde o raggelate di un tagliente madrigale di Gesualdo da Venosa, “Mai più amore per sempre” cerca tracce dell’amore e della morte nel labirinto drammaturgico di Shakespeare esplorando le fondamenta letterarie del suo racconto immortale tra le pagine di Masuccio Salernitano e Luigi Da Porto, tentando la medianica rievocazione di una delle opere del più grande poeta inglese di tutti i tempi. E la rievocazione della storia rinasce come storia ricreata; rinasce a Napoli nel 1603, sotto il Regno di Filippo III, mentre i D’Avalos e i Carafa, due famiglie dell’alta nobiltà partenopea, si contendono il controllo politico della città aspirando entrambe al conseguimento del vicereame. La storia di Romeo e Giulietta lascia presagire e intuire le sue radici sotterranee rigermogliando nel convento di Sant’Arcangelo, chiuso e sconsacrato nel 1577 per il profano commercio libidinoso che le monache dell’ordine di San Michele, discendenti dei più prestigiosi casati napoletani, vi trattenevano e ordinavano con superba arroganza.

Ed è qui, nel chiostro di questo monastero macchiato dall’indomabile tracotanza dei sensi, che frate Lorenzo Filomarino raccoglierà le confessioni di Ferrante D’Avalos, irriducibile depositario della mediterranea, prepotente religione dei sensi, finalmente innamoratosi di Giulia Carafa, capace di riconoscere nel volto del suo amante gli idolatri segni del piacere indissolubilmente legati a quelli meno esaltanti della morte d’amore. Nel chiostro di Sant’Arcangelo allora, mentre frate Lorenzo riesuma i resti delle monache peccatrici, le cameriere di casa D’Avalos e casa Carafa, disseppelliscono una storia irraccontabile aspergendola di presagi e delizie nel disegno drammatico di una festa che si prepara per l’ultimo compleanno di Giulia Carafa, rinsaldando l’odio dei Casati rivali nel tortuoso dedalo delle parentele affini che declinano e culminano nei personaggi di Sibilla de Sangro, sorella di Mercurio e Malizia Villamarina, moglie di Tebaldo.

Le storie di sangue diventano allora storie della città. La storia delle donne napoletane, della scelta incoercibile ed eroica del loro istinto, diventa storia di Napoli, grande, femminile Mater Magna che ha accolto nel suo ventre le stratificazioni e i capricci di infinite culture. La storia di Napoli e del sangue d’amore e morte grazie al quale Napoli stessa scrive la sua storia avvelenata di sogni e pazzie diventa infine specchio della velenosa vitalità di una lingua che si proclama babele indefinibile del mondo e dei suoi vizi, di una lingua in cui occhieggiano la grazia aeriforme del francese, la barocca malìa dello spagnolo, certe dissonanze arabe, certi fiati e certe cadenze greche. E per il Teatro la lingua napoletana è senza dubbio la lingua delle lingue. Travolge, invade, seduce, avvelena e si lascia avvelenare, quasi avesse la liquida potenza dell’acqua.

Come l’acqua sa possedere e farsi possedere da tutto. Sa corrodere tutto. Come l’acqua, quando sembra ristagnare, si lascia contaminare ancora una volta da tutto e, poco dopo, il napoletano, ovvero l’achemica acquatica delle culture teatrali, riesce ad originare nuove forme di vita, cioè ancora nuove forme e sostanze linguistiche. Forse con un po’ d’enfasi mi piace dire che il napoletano ha la purezza di certe antichissime lingue elleniche sepolte per sempre e che la sua vocazione essenziale è quella di essere un sogno che sogna se stesso e sognando inventerà realtà tangibilissime, indubitabili, crudeli.

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